Archivio documenti ed attività per la
Catechesi per adulti

 

 

 

1^ INCONTRO

Le linee guida del Concilio Vaticano II

La “Lumen Gentium”: nuove prospettive sulla Chiesa

 

Se i meno giovani ripensano alla Chiesa anteconciliare, ricordano quante differenze pastorali, ed anche teologiche, c’erano. Dalla più evidente, quella della Messa celebrata in latino, spalle al popolo e sottovoce, a quelle riguardanti il rapporto tra laici e clero, il rapporto con gli altri cristiani e con i non cristiani…

In questi nostri incontri cerchiamo di comprendere tutte queste novità, alla luce dei documenti conciliari che vogliamo riscoprire per dare nuovo impulso alla fede ed alla vita cristiana.

Nel primo incontro scopriamo il documento base, sia teologicamente che pastoralmente: quello sulla Chiesa.

 

La nuova impostazione dell’ecclesiologia conciliare si vede già semplicemente dall’indice degli 8 capitoli che formano la Costituzione Lumen Gentium sulla Chiesa. Li esaminiamo uno per uno, per avere lo sguardo di insieme di questa prima grande novità del Concilio.

 

Dopo un primo capitolo introduttivo infatti, nel quale presenta la Chiesa come “Sacramento” cioè manifestazione della Trinità in Gesù Cristo, e come strada privilegiata per raggiungere il Regno di Dio (nega perciò che ci sia coincidenza tra la Chiesa ed il Regno di Dio, come qualcuno prima affermava), e nella quale riassume le varie immagini della Chiesa presenti nel Nuovo Testamento e nella teologia (ovile, campo del Signore, edificio di Dio, Gerusalemme celeste, e soprattutto, il corpo mistico di Cristo) arriva nel secondo capitolo a presentare la nuova impostazione teologica: La Chiesa è il popolo di Dio.

 

In questo popolo tutti sono sacerdoti, nel senso che tutti possono offrire la propria vita al Padre. Si ribadisce così una dottrina biblica, ma messa in disparte per secoli dalla teologia cattolica: il sacerdozio comune dei fedeli. Si aggiunge che tutti hanno dei carismi, e che il laicato in quanto tale ha i suoi doni che gli danno una dignità particolare,m che più avanti sarà spiegata. Parla poi ancora dell’universalità del popolo di Dio: tutti sono chiamati a farne parte, e il fatto che non tutti sono nella chiesa la deve spingere ad un rinnovato impegno missionario.

 

Passa poi a vedere le varie componenti di questo popolo, spiegandone le caratteristiche e gli impegni per il bene di tutta la comunità.  Nel capitolo 3 parla perciò dei Vescovi, aspetto che era stato tralasciato dal Concilio Vaticano I, dove, dopo aver parlato dell’infallibilità del Papa, si è dovuto interrompere velocemente per motivi “risorgimentali”. Partendo dalla chiamata dei Dodici, dei quali i Vescovi sono successori, si ribadisce in modo inequivocabile la sacramentalità dell’Ordinazione Episcopale (si chiama “Ordine” appunto perché ha i tre gradi di Episcopato, Presbiterato e Diaconato).  Ogni Vescovo ha una sua dignità ed un suo potere nella Diocesi, però questa dignità e questo potere è subordinato al fatto che è parte del Collegio Episcopale, sempre unito a Pietro. L’essere parte del Collegio Episcopale li fa essere anche responsabili di tutte le Chiese, non come capo (lo è il Vescovo Diocesano) ma come solleciti al bene di tutta la comunità ecclesiale. Il Collegio Episcopale si manifesta in modo particolare nelle forme di comunione tra le Chiese, in particolare le Conferenze Episcopali.  Spiega anche le funzioni dei Vescovi, sintetizzandole in tre affermazioni: devono insegnare (sono il Magistero, che assicura la verità nella trasmissione della Parola); santificare (sono i primi responsabili dei Sacramenti: i Sacerdoti li prendono da loro); governare (perché ci sia unità ed unione nel popolo di Dio)

Parla poi brevemente dei sacerdoti e dei Diaconi, presentando anche il loro compito a servizio della comunità del popolo di Dio.

Si dà poi, nel capitolo 4, molto spazio alla trattazione del compito dei cristiani laici, di cui si afferma che hanno una missione (non sono solo “passivi”, ascoltatori, obbedienti all’autorità magisteriale), e nel popolo di Dio hanno la stessa dignità delle altre due vocazioni (sacerdotale e religiosa), perché il laicato è una strada per la santità tanto quanto le altre. L’apostolato dei laici è importante perché possono raggiungere persone che i sacerdoti non possono incontrare. La loro dignità è teologica, perché fanno parte della missione sacerdotale della Chiesa (godono del sacerdozio comune dei fedeli), della missione profetica (hanno il diritto di parlare, di spiegare, di catechizzare; solo nella liturgia il ministero della parola è riservato ai Ministri Ordinati) e di quella regale (possono cioè collaborare a tutti i servizi che la Chiesa offre all’umanità, anzi, molti li possono fare meglio dei sacerdoti, perché riguardano il loro campo di specializzazione (pensiamo alla politica, all’economia…).  Il rapporto con la “gerarchia” (i Vescovi) deve essere di rispetto reciproco e di collaborazione. L’obbedienza si ha naturalmente al Magistero quando esercita la sua funzione datagli da Gesù, quella cioè di garantire la verità della trasmissione della Parola.

È interessante che subito dopo aver parlato dei cristiani laici, tratta nel capitolo 5 del tema della vocazione universale alla santità, aspetto assolutamente innovativo, dopo che per secoli si parlava soprattutto di santità monacale.  Si arriva così finalmente a vedere che tutti sono chiamati alla santità, e la possono raggiungere realmente vivendo serenamente e seriamente la propria vita, a qualunque vocazione appartenga.  La santità ha così diverse manifestazioni, diverse strade, ma è sempre il modo eroico di vivere la quotidianità secondo il Vangelo.

Solo dopo, nel capitolo 6, si tratta dei religiosi e delle loro caratteristiche peculiari. La loro vocazione parte dai “Consigli Evangelici”, quelle proposte di Gesù che non sono la strada alla santità per tutti (come l’amore, l’umiltà…), ma solo per chi è chiamato (celibato/verginità; obbedienza; povertà) e serve per proporre un esempio alla intero popolo di Dio: “donare la propria vita completamente a Dio è bello, è possibile già su questa terra, ed è immagine del Paradiso”.

Tutte le vocazioni, ogni stato di vita nella chiesa, tendono ad una meta: il Paradiso.  Meta della Chiesa è infatti l’escatologia, la vita ultraterrena.  Di questo tratta il capitolo 7, che spiega come la Chiesa peregrinante (noi che viviamo sulla terra) e la Chiesa celeste (coloro che sono già nella Casa del Padre) siano intimamente unite nella preghiera reciproca e nella liturgia. Si danno poi delle indicazioni sul culto dei Santi, da vedere più come modello di vita che come oggetto di pratiche devozionistiche.

Un’altra assoluta novità è la riflessione su Maria, non posta in un documento a se stante, come richiesto all’inizio del Concilio, ma inserita, come ottavo capitolo, in questo documento sulla Chiesa, perché Maria è vista come membro privilegiato di questa comunità. Maria ha una funzione unica nell’economia della salvezza, in quanto Madre che sona Gesù, che lo aiuta a crescere, che lo accompagna nella Sua missione, che Gli è vicina sotto la Croce, che segue gli Apostoli dopo l’Ascensione e nella Pentecoste. Gesù è l’unico mediatore, Maria dunque ha una missione subordinata, ma ciò non significa che sia secondaria. Maria è soprattutto il modello più importante della Chiesa, e ciò proprio nella sua vita di Vergine e Madre. Tutta la Chiesa perciò è chiamata ad imitare le virtù di Maria.  Il culto a Maria è valorizzato proprio distinguendolo dall’Adorazione, rivolta solo alla Trinità (amando ed imitando Maria, noi siamo portati all’adorazione di Cristo suo Figlio) e da ogni forma di sentimentalismo, perché il culto a Maria parte dalla Parola stessa di Dio.

 

 

  

2^ INCONTRO

La “Sacrosantum Concilium”: rinnovamento della Liturgia

 

Il documento sulla Liturgia è quello che ha più di tutti toccato l’opinione pubblica, soprattutto nel cambio di lingua nelle celebrazioni. È un documento ovviamente molto più ampio, che ha rinnovato una mentalità, e non solo una lingua.

 

Quali sono le indicazioni innovative di questo documento?

§         Liturgia è “Culmine e Fonte” di tutta la vita della Chiesa

§         La preghiera del cristiano maturo è incontro con la Parola e con i Sacramenti, e non devozioni varie

§         La liturgia deve essere decorosa ma semplice (sì alla simbologia, al raccoglimento, no allo sfarzo, ai fronzoli…)

§         Si parla alla comunità viva, perciò ci si esprime nella sua lingua

§         Al centro di tutto l’assemblea, non il celebrante (che è fondamentale, ma non è il centro, perché la liturgia è per il popolo)

§         La Messa non è un fatto privato (sottovoce, spalle al popolo, magari senza popolo) ma è un fatto comunitario,m sottolineato dalla concelebrazione

§         L’Ufficio Divino è aperto a tutti, anche ai laici, ed è reso più snello, per indicare le varie forme di preghiera, non solo quella monacale

§         Al centro dell’anno liturgico c’è la domenica; i Santi non sono più fondamentali (tutti i giorni il ricordo di un santo), ma sono solo un completamento come modello

§         La musica sacra non deve essere normalmente per i cori, ma per l’assemblea, aiutata da un coro

 

Vediamo allora il documento nelle sue parti:

Dopo aver inserito la liturgia nella vita della Chiesa, anzi, dopo averla presentata come “Culmine e fonte” di essa, e dopo aver affermato che tutti i riti finora permessi sono accolti nella chiesa, che vuole unità ma non uniformità, mette i principi generali per la riforma e la promozione della Liturgia. Questa infatti è fondamentale per la comunità cristiana, in quanto rende presente personalmente Cristo. Non tutto nella Chiesa è liturgia, ma questa ne è l’anima, perché tutto ha il suo inizio ed il suo fine in questo incontro con Lui. La preghiera personale, le devozioni, i pii esercizi, sono tutti aiuti alla vita spirituale di ogni cristiano, ma il tutto ha senso se ha nella liturgia la sua meta.

 

Poiché è così importante, è giusto che sia ben insegnata nei seminari, e che i sacerdoti siano aiutati a comprenderne la profondità. Così anche i fedeli saranno formati ad una vita liturgica proficua per un cammino personale e comunitario. Infatti nel mondo contemporaneo bisogna adattare la liturgia alla nuova mentalità, serve perciò una profonda riforma. Il progresso è legittimo e doveroso, se serve per portare le persone a Cristo. Il primo passo da comprendere è che la Liturgia sia sempre più biblica (per questo si richiede una revisione dei libri liturgici).  Un’altra mentalità da costruire è l’invito a preferire sempre la celebrazione comunitaria a quella personale (devozionistica). I fedeli devono essere educati ad una partecipazione attiva (non si assiste, ma si partecipa alla Messa). Tutto deve essere decoroso, ma semplice (il Concilio batte molto su questo punto, molto sentito dalla attuale mentalità). La predicazione e la catechesi devono essere basate sulla Parola di Dio, per assicurare un cammino unitario e profondo al popolo di Dio.  Anche la lingua deve essere adattata alla comprensione di tutti i popoli. Ogni comunità parrocchiale deve diventare una comunità liturgica.

 

Il primo ambito del quale si tratta è naturalmente il Mistero Eucaristico. Si invitano i fedeli ad una partecipazione attiva, e per questo si propone una revisione dell’Ordinario della Messa, ed un arricchimento di letture bibliche (ricordiamo come era diversa la “Messa di Pio V”, a parte la lingua, e soprattutto come era lontano il popolo dalla celebrazione). Si propone una attenzione più biblica all’omelia, la reintegrazione della Preghiera dei fedeli, la possibilità della Comunione sotto le due specie, la possibilità di concelebrare (per indicare l’unità del presbiterio, e per evitare la frammentazione di Messe), e si propone l’uso delle lingue nazionali.

 

Si tratta poi degli altri Sacramenti e Sacramentali.  Anche per questi si propone l’uso della lingua nazionale, si chiede di ripristinare il catecumenato, di rivedere il Rito di tutti i Sacramenti, di rivedere i Sacramentali, come rito e come struttura, i particolare i due più importanti che sono la Professione Religiosa ed il Rito Funebre.

 

Si propone poi di rivedere anche la struttura dell’Ufficio Divino, pensando non solo ai Monaci, ma anche si Sacerdoti ed ai laici che pregano con questo strumento. Si propone allora di leggere tutti i Salmi con scadenza mensile, e non più settimanale; si alleggeriscono perciò le singole “ore” dell’Ufficio, passando da 5 a 3 Salmi l’una; si toglie l’ “Ora Prima” che come orario è contemporanea delle Lodi; si rivedono gli Inni; si rimette la Preghiera dei Fedeli nelle Lodi e nei Vespri; si spiega l’importanza della preghiera comunitaria dell’Ufficio Divino, anche per i laici.

 

Si parla poi dell’anno liturgico, riformandolo in modo da semplificarlo. Si valorizza la domenica, mettendola al centro, e si da impulso ai “Tempi Forti” (Avvento – Natale - Quaresima – Pasqua). Il grande cambiamento riguarda le feste dei Santi: molti sono esclusi dal calendario liturgico, molti sono solo “Memorie Facoltative” (da ricordare perciò solo dove c’è una devozione particolare a quei santi, o dove sono vissuti).

 

Il capitolo sulla musica sacra vuole valorizzare i canti durante le celebrazioni, facendo in modo che siano soprattutto canti dell’Assemblea, e non di un coro soltanto. Si ricorda la tradizione del canto Gregoriano, ma si invita a dar vita ad un repertorio di canti liturgici nelle varie lingue nazionali. Si raccomanda un uso di strumenti adatti allo stile liturgico ed al raccoglimento, sempre rispettando le varie culture.

 

Trattando dell’arte sacra, che ha una sua dignità di branchia dell’arte in generale, si invita ad una formazione particolare sia degli artisti che del clero, perché possano valorizzare le nuove indicazioni per far nascere una nuova architettura sacra (pensiamo alla disposizione del presbiterio, con l’altare rivolto al popolo, la sede del celebrante, l’ambone…)

 

 

  

3^ INCONTRO

La Gaudium et Spes: Chiesa e società moderna

Dei Verbum: la Sacra Scrittura nella vita della Chiesa

Un documento altamente innovativo è la Gaudium et Spes, perché per la prima volta un Concilio entra nelle realtà sociali del proprio tempo così intimamente e chiaramente. È anche il documento però che più risente dei 50 anni trascorsi, proprio perché, essendo legato alla realtà concreta del momento, in molti punti oggi è meno incisivo ed interessante. I principi però sono sempre validi, e sono questi che vogliamo prendere oggi.

Il Documento sulla Sacra Scrittura (Dei Verbum) è stato a lungo dibattuto dai Vescovi, perché lo schema preparato inizialmente dalla commissione era molto tradizionale, mentre dei Vescovi, soprattutto teologi e biblisti, desideravano qualcosa di innovativo.

 

Quali sono le indicazioni innovative di questi documenti?

§         Il mondo non è in sé cattivo, ma è il luogo teorico dove deve manifestarsi il Regno di Dio.

§         Compito del cristiano è accogliere il mondo nella sua realtà, e poi di illuminarlo con la Parola di Gesù. se non si parte dall’accoglienza non si sarà ascoltati ed accolti

§         Alla base di ogni discorso sociale ci deve essere il concetto di “bene comune” che tutti, anche la Chiesa, devono cercare. I cristiani sanno di avere uno strumento straordinario per individuare il bene comune, che è la Parola di Dio che ci invita a superare l’egoismo, fonte di ogni ingiustizia

§         La seconda radice di ogni discorso sociale è il rispetto della dignità umana. Ogni persona deve essere accolta nella sua realtà e nella sua libertà di coscienza (sarà approfondito nel documento sulla libertà religiosa)

§         Rendere più bello questo mondo, più vivibile per tutti, è un compito dei cristiani che vivono l’invito di Gesù “Avevo fame, e mi avete dato da mangiare…”

§         Andare incontro al mondo non significa rinunciare alle novità del Vangelo, ma usarle per illuminare la società con i suoi sì (sì al rispetto di ogni persona, e perciò no ad ogni forma di emarginazione o di offesa alla sua dignità; sì alla vita, e perciò no ad ogni forma di ricerca di morte; sì alla famiglia, e perciò no ad ogni forma di degradazione dell’amore…)

§         La chiesa non deve cercare nessun potere, ma solo il servizio della comunità umana

§         La Sacra Scrittura è la base di tutta la nostra fede (è logico, si diceva anche prima, ma con molti “però”, in quanto la Bibbia non era patrimonio di tutta la Chiesa, ma solo del clero, che doveva poi sminuzzarla ai fedeli. Ciò era dovuto ad una reazione all’esagerazione Luterana, che voleva che ognuno si interpretasse la Parola a modo suo)

§         La nostra fede non deriva solo dalla Sacra Scrittura, ma anche dalla Tradizione e dalla comprensione del Magistero

§         Si propongono i “generi letterari” come strumento indispensabile di comprensione.  Erano già proposti da qualche decennio, ma con molta difficoltà da parte di studiosi tradizionalisti)

 

Vediamo allora i documenti nelle loro parti:

Parte così analizzando le speranze e le angosce dell’umanità in un periodo di profonde mutazioni sociali, psicologiche, morali e religiose, che portano degli squilibrii, ma anche delle aspirazioni sempre più universali e degli interrogativi sempre più profondi. E organizza la sua analisi in due parti: la prima di principi, nella quale si tratta della vocazione dell’uomo, della sua dignità, delle sue attività, e della missione della chiesa in questo contesto storico.  La seconda invece che parla di problemi particolari (matrimonio e famiglia, cultura, economia, politica, pace)

Inizia analizzando la vocazione dell’uomo, che è anzitutto una ricerca di dignità, che si basa sul fatto che è creato ad immagine di Dio. La dignità umana riguarda la sua intelligenza, le sue capacità morali, la sua capacità di libertà… questa dignità non è compromessa neppure da una eventuale scelta di ateismo, oggi sempre più diffuso.

L’uomo è un “animale sociale” chiamato cioè a vivere in comunità. Questa vita comunitaria ha come principio la ricerca del bene comune, il rispetto della persona umana (anche degli avversari), la fondamentale uguaglianza di tutti gli uomini, e dunque una vera giustizia sociale, superando l’etica individualistica.

L’uomo è chiamato a lavorare nell’universo, per plasmarlo e renderlo più vivibile. Le attività umane devono essere normate, per evitare che qualcuno esasperi il proprio egoismo a danno dei più deboli. Ciò non toglie però che queste attività umane devono essere autonome da ogni autorità, secondo il principio della sussidiarietà. Anche se il peccato rende l’uomo schiavo dell’egoismo, sappiamo che Gesù ci ha redenti e resi capaci di servizio e di dono, per cui crediamo che l’attività umana possa realmente rendere migliore il mondo.

In queste realtà si innesta il compito della Chiesa, che non è quello di vivere un potere di alcune genere, ma semplicemente di aiutare l’umanità nella ricerca del bene comune superando ogni forma di egoismo. Questo aiuto è donato per mezzo dei singoli cristiani che vivono nel mondo, vi agiscono come tutti gli altri, ma lo sanno fare secondo le indicazioni di Gesù. Dal mondo contemporaneo la Chiesa riceve un aiuto di apertura di mentalità, di ricerca continua delle verità e di desiderio di rispetto di ogni persona

Nella seconda parte il documento affronta poi alcuni problemi urgenti dell’epoca, dando qualche indicazione concreta. Il primo argomento trattato è il Matrimonio e la Famiglia. Si parte affermando la santità del Matrimonio, elevato a Sacramento da Gesù, e della famiglia stessa. La famiglia si basa sull’amore coniugale, che è chiamato ad essere fecondo ed a rispettare la vita (accenna perciò agli argomenti della pianificazione familiare e dell’aborto). Ogni cristiano (ma anche la stesa società civile) è chiamato a lavorare per la difesa e la valorizzazione della famiglia.

Il secondo argomento affrontato è la cultura.  Si constata che nel mondo moderno si instaurano nuovi stili di vita, e che l’uomo vuole sempre più sentirsi autosufficiente. Ciò lo allontana dalla fede c ristiano, che prevede l’uomo come la più grande delle creature, ma sempre figlio di un Padre di cui ha bisogno. Promuovere una retta cultura significa allora saperla mettere in contatto con la fede pura, che non opprime ma valorizza la realtà umana, togliendo quelle visioni egoistiche che si hanno escludendo il Padre dal proprio orizzonte.  I cristiani sono chiamati a rispettare ogni cultura (integrandosi in essa in tutto quello che non è contro il Vangelo), sapendo che ogni verità non è mai contro Dio, ma è una delle Sue manifestazioni nell’umanità.

Si passa poi al delicato aspetto economico e sociale. Lo sviluppo economico è visto in modo positivo, come forma di servizio al benessere dell’umanità. Deve sempre essere sotto il controllo dell’uomo, perché mai una realtà materiale può dominare l’uomo: deve essere al suo servizio. Ed al servizio di ogni uomo, da qui deriva l’impegno a superare le disparità tra popoli e gruppi sociali. Il lavoro è un diritto di tutti, ed anche un lavoro rispettoso della dignità umana, che lasci del tempo libero per poter vivere una vita personale, familiare e sociale. Si invitano a superare i conflitti nel lavoro con una partecipazione di tutti all’impresa, e vedendo la destinazione universale dei beni della terra, contro un’idea liberista di “uso ed abuso” della proprietà privata. Un’economia vissuta rettamente rende più vicino il Regno di Dio sulla terra.

Il capitolo successivo tratta della vita politica. Si constatano tante lotte tra i gruppi politici, ma nello stesso tempo si vede che il fine vero della politica è il servizio alla comunità umana ed al suo bene comune. tutti perciò sono invitati a partecipare in modo attivo alla vita politica, portando il proprio contributo anche come cristiani.  La chiesa in quanto tale deve restare fuori dall’agone politico, ma ogni cristiano è chiamato ad interessarsi del bene di tutti, proprio alla luce del messaggio evangelico.

Infine l’ultimo capitolo riguarda la promozione della pace. Dopo aver spiegato la pace dal punto di vista cristiano, come dono di Gesù, si entra subito nel vivo del discorso parlando della guerra, come realtà da evitare, e comunque con l’impegno di mitigarne l’inumanità. Si condanna l’idea di guerra totale (si è al culmine della “guerra fredda” e della paura nucleare) e la corsa agli armamenti, anche come uso ingiusto dei beni economici. Perché questo discorso non sia sono un pio auspicio, si invitano tutti i paesi a cercare un’azione internazionale per evitare le guerre.  Si entra così nel discorso che forse più interessa al Concilio su questo punto: la costruzione di una comunità internazionale. La si vede come mezzo migliore per evitare le cause di discordia, e si insiste che sia concreta anche dal punto di vista economico (di aiuto reciproco, e non di lotta reciproca). Si invita a tenere presente l’accrescimento demografico, con una paternità responsabile, ma senza mettere a repentaglio il diritto alla procreazione ed alla vita; e soprattutto per i cristiani, a costruire un nuovo stile di vita nella sobrietà, che ristabilisce la giustizia tra i vario popoli.  Alla base di tutto ci deve essere un dialogo sincero, al quale soprattutto i cristiani sono chiamati.

La “Dei Verbum” è così strutturata:

 

Si parte allora spiegando la natura stessa delle Rivelazione, che ha origine nell’Antico Testamento, ed è completata da Cristo. I cristiani sono invitati perciò ad accogliere con fede le varie verità rivelate. Questa rivelazione è trasmessa anzitutto dalla “Sacra Tradizione”, che si radica negli Apostoli, che continua nei “Padri della Chiesa” e poi in tutti gli scritti di teologi e di comunità cristiane, cioè nella Chiesa viva che riflette e rende viva la Parola del Signore.  La Tradizione nel primo secolo viene anche fissata in libri, che formano il Nuovo Testamento. Queste due realtà (Tradizione e Sacra Scrittura) non sono in contrasto, ma sono degli strumenti fondamentali per permetterci di entrare in contatto con il Signore. Il Magistero della Chiesa poi è un ulteriore mezzo indispensabile per assicuraci la comprensione piena, senza interpretazioni personali, della Parola e della Tradizione.

 

Si ribadisce il concetto di ispirazione divina della Sacra Scrittura, non come dettatura (gli autori mantengono la loro cultura, il loro stile, la loro conoscenza della realtà storica, scientifica…) ma come assicurazione che ci trasmettono tutta la verità che riguarda la nostra salvezza. La Parola di Dio va capita così come è stata scritta. Compito degli studiosi perciò è comprendere li modo di parlare delle varie epoche, nella lingua così come nei “generi letterari”. Il tutto sempre sotto la guida dello Spirito Santo che illumina il Magistero nel compito ultimo di lettura certa della Parola di Dio.

 

Si analizza allora l’importanza anzitutto dell’Antico Testamento, che ci presenta l’inizio della Storia della Salvezza, e che è il contesto nel quale si presenterà poi la pienezza della Rivelazione di Gesù.  I due Testamenti sono perciò indissolubilmente uniti, come unica Parola di Dio in due tappe, delle quali una è la preparazione e l’altra il compimento.  Il Nuovo Testamento ha la sua origine nella predicazione di Gesù, riportata poi dagli Apostoli. Ha un carattere eminentemente storico, e non simbolico o mitologico, soprattutto nei Vangeli.  Gli altri libri che lo compongono sono delle riflessioni della prima comunità cristiana sul modo di vivere questa proposta di Gesù (le lettere) o sul modo di pregare nella fiducia alla luce della Sua parola (l’Apocalisse).

 

Si termina poi presentando l’importanza della Sacra Scrittura nella vita della Chiesa, chiedendo agli studiosi di offrire delle ricerche chiare e delle traduzioni accurate, in modo che la teologia abbia una base sicura da cui partire nella sua ricerca. La lettura della Sacra Scrittura è raccomandata a tutti (a differenza di quanto prima si proponeva, come reazione al Luteranesimo, che solo i “Chierici” potevano leggere la Sacra Scrittura e poi presentarla ai laici).

 

 

 

 

4^ INCONTRO

Dignitatis Humanae: La Libertà Religiosa

Unitatis reintegratio, Nostra aetate, Ad Gentes:

Ecumenismo, Dialogo interreligioso, Missioni

Il documento sulla libertà religiosa (Dignitatis Humanae) è stato il più contrastato nella discussione dei Vescovi e quello che ha avuto più voti contrari, perché è altamente innovativo di una mentalità che faceva paura cambiare (per noi, dopo 50 anni, sembra ormai naturale, ma in quel momento era veramente un salto nel buio): prima si diceva che la Chiesa aveva diritto di godere di libertà, ma, possedendo la verità, non era chiamata a darla ad altre forme religiose. Qui si afferma invece che la Chiesa deve essere soggetto ed oggetto di libertà religiosa. Alla base del suo discorso mette infatti la dignità di ogni persona umana.

Se si propone una sincera libertà religiosa per tutti, non si può non trattare delle persone che seguono altre religioni (cristiane, e perciò nasce il tema dell’ecumenismo; e non cristiane, e nasce perciò il tema del dialogo interreligioso).

 

Quali sono le indicazioni innovative di questi documenti?

§         Ogni essere umano è chiamato a cercare la verità, e lo deve fare secondo la sua coscienza

§         Gesù stesso insegna e chiede questa libertà ogni volta che chiama qualcuno a seguirlo

§         Tutti hanno il diritto alla libertà religiosa, e la chiesa deve lasciarla anche ai non cristiani

§         L’equilibrio della chiesa è perciò: missionarietà per far conoscere a tutti Gesù, e ricerca della libertà, perché Gesù non sia seguito per forza o per altri scopi umani, ma solo per scelta spirituale

§         La considerazione dei membri delle alte chiese cristiane come “fratelli separati” e non come apostati e scismatici

§         La ricerca di ciò che ci unisce più che di ciò che ci divide

§         Il rispetto per i membri di altre religioni, come di persone che posseggono una parte di verità, e che comunque sono destinati alla salvezza se vivono secondo coscienza

§         L’attenzione ad esprimere le proprie convinzioni con un linguaggio che non ferisca la sensibilità altrui

§         L’apertura missionaria non pensando che “se no quelle persone saranno dannate”, ma con la gioia di portare loro la conoscenza di Gesù

§         La raccomandazione di portare Cristo non con l’obbligo, né con aiuti materiali mirati ad avvicina così delle persone (“i cristiani dei riso” nella prima evangelizzazione in Cina), ma solo come scelta libera e personale

§         La raccomandazione di non confondere la missione con un’opera sociale, e tanto meno culturale (per portare la cultura occidentale)

 

Vediamo allora questi documenti nelle loro parti:

Dignitatis Humanae: Inizia presentando gli aspetti generali della libertà religiosa, che ha la sua origine nella stessa natura umana (“gli esseri umani devono essere immuni dalla coercizione da parte di singoli individui, di gruppi sociali e di qualsivoglia potestà umana, così che in materia religiosa nessuno sia forzato ad agire contro la sua coscienza”). Tutti gli individui infatti sono chiamati a cercare la verità, e per farlo devono godere di una reale libertà psicologica e sociale. È un’ingiuria alla natura umana non permettere un rapporto con Dio anche pubblico, perché gli atti religiosi sono orientati al bene comune della società. Così come è un nativo diritto della famiglia educare i figli ai propri valori religiosi. Tutti perciò, privati e società, sono chiamati a dare e permettere a tutti una vera libertà religiosa. La società ha diritto di dare delle norme che indirizzino tutti a non conculcare i diritti altrui in nome dei propri diritti, e a vigilare perché, in nome della libertà religiosa, non si compiano azioni immorali o contro il bene comune. gli educatori hanno il compito impellente di educare al concetto di vera libertà le giovani generazioni.

Dopo questa introduzione, si tratta delle radici della libertà religiosa, che sono nella stessa rivelazione divina. Ogni persona, secondo la volontà di Dio, può e deve fare il proprio atto di fede, senza coercizione umana di alcun genere. Gesù non ha mai obbligato nessuno, ma ha sempre invitato a seguirlo nella libertà (iniziando da Maria, dagli Apostoli, dai discepoli…). Compito della Chiesa è seguire questa via di libertà nel proprio servizio missionario. Nello stesso tempo si rispetta io potere civile nelle sue prerogative, pur chiedendo, anche a costo del proprio martirio, la libertà religiosa per sé e per tutti. La chiesa perciò rispetta sempre la, libertà religiosa di chi ha idee diverse, e chiede anche per sé la stessa libertà, per poter esercitare la sua missione di portare a tutti coloro che vogliono riceverla, la verità di Cristo.

Nella conclusione invita tutti i poteri civili a dare questa libertà, senza alcuna forma di coercizione.

 

L’ecumenismo è trattato nel documento “Unitatis Reintegratio”. 

Per comprenderlo in modo equilibrato (teniamo presente che non c’erano importanti documenti su questo argomento prima del Concilio) si mettono prima i principi cattolici: la convinzione che la chiesa è una ed è chiamata a questa unità dallo stesso Gesù; che le relazioni con i fratelli separati devono essere buone, ma non possono togliere il fatto che la Chiesa fondata da Gesù “sussiste nella Chiesa Cattolica”. L’ecumenismo non vuole però arrivare alla “conversione” dei fratelli separati, ma alla presa di coscienza dei punti che ci uniscono, ed al superamento di quelli che ci dividono. Per arrivare ad un sincero ecumenismo bisogna perciò partire da una sincera riforma della Chiesa, dalla conversione del cuore di ogni cristiano, da una reale unione di preghiera tra le varie confessioni, da un cammino di conoscenza che superi i pregiudizi di secoli, da una formazione ecumenica dei sacerdoti e dei laici. Nell’esporre la propria dottrina, è auspicabile che si tenga presente anche il punto di vista dei fratelli separati, per non usare formule che siano offensive della loro sensibilità.  Con i fratelli separati ci deve essere una reale collaborazione sia nella ricerca teologica che nel superamento di problemi sociali.

 

Si passa poi ad esaminare le chiese separate dalla Sede Apostolica, iniziando da quelle orientali, delle quali si rispetta il carattere proprio, la, loro ricca tradizione liturgica e spirituale, e si permette che abbiano una loro disciplina giuridica.  Riguardo alle chiese separate di occidente si sottolinea l’unità della fede in Cristo, la profonda conoscenza e l’uso comune della Parola di Dio, la vita in Cristo, anche se si sente la mancanza dei Sacramenti.  Le differenze non mancano, ma nostro compito sarà quello di partire dai punti comuni per un dialogo fruttuoso.

Il rapporto con le religioni non cristiane è invece trattato nel documento “Nostra aetate”.  Anche questa è una novità del Concilio, perché prima “gli altri” erano visti solo come oggetto di conversione.  Si parte invece da una dichiarazione di rispetto per tutti i popoli, le loro culture e le loro religioni, dalle quali “gli uomini attendono la risposta agli enigmi della condizione umana”.

Si esaminano allora le varie religioni, con un’attenzione particolare a quella islamica ed ebraica (le religioni monoteiste) facendo notare anche qui più i punti che ci uniscono da quelli che ci dividono.  Il dialogo non deve farci rinunciare alle nostre verità (per esempio quella basilare della Trinità), ma non deve partire dall’idea che tutto è errato nelle altre religioni. Il rispetto reciproco, la ricerca di azioni comuni per il bene dell’umanità, la fede nell’unico Dio, ci devono portare a sentirci aperti gli uni verso gli altri.

Un documento del Concilio tratta del tema delle Missioni Cattoliche presso i popoli che non conoscono il Signore. Si intitola “Ad Gentes”.  Parte dalla constatazione teologica che il piano di salvezza del Padre è di portare a sé tutti i figli. Per questo manda Gesù sulla terra, e per questo si fonda la Chiesa, perché continui in tutti i tempi ed in tutti i luoghi l’opera di Gesù. la chiesa non fa delle missioni per avere potere, né per portare una cultura particolare, ma solo per far conoscere e seguire Gesù, in modo che chi vuole possa essere con Lui in questa vita, e poi in Paradiso.

 

L’opera missionaria parte dalla testimonianza di vita di tutti i cristiani, e si alimenta anche del dialogo interreligioso. La testimonianza più incisiva è quella della carità. Per questo le missioni sono anche promozione culturale ed economica, anche se queste realtà non sono le principali per la Chiesa. Interessa infatti anzitutto l’evangelizzazione, tesa a portare il messaggio di Gesù in modo che, chi vuole liberamente seguirlo, ne abbia l’opportunità. Si propone allora un serio catecumenato, per mettere le basi di una vita cristiana convinta e coerente. Il cammino verso Cristo non è solo del singolo, ma è prevalentemente della comunità. Compito della missione cristiana è formare delle comunità, capaci di esprimere tutte le vocazioni (anche quelle sacerdotali ed episcopali, in modo da diventare totalmente indipendenti). Un interesse particolare è dimostrato per i catechisti, che sono la spina dorsale delle comunità missionarie.

 

Si desidera infatti il progresso delle giovani chiese, nelle quali Vescovi, sacerdoti e laici “indigeni” possano far crescere le comunità in ogni nazione.  Si rispettano le tradizioni e le culture di tutti i popoli, chiedendo soltanto che siano vissute nell’unità ecclesiale.  I missionari sono indispensabili per iniziare quest’opera, e per avviarla ad indipendenza. Devono essere formati spiritualmente, personalmente e culturalmente in modo profondo, perché devono saper coniugare la dottrina cristiana (come tutti gli apostoli anche nel nostro mondo occidentale) con delle culture diverse.  Gli Istituti missionari hanno questo impegno di formazione e di sostegno dei missionari.

 

L’organizzazione dell’attività missionaria deve essere vista localmente, perché sia adeguata ad ogni situazione e ad ogni cultura. Deve però essere coordinata dalle Conferenze Episcopali, dalla cooperazione tra Istituti, e dall’appoggio di Istituti Scientifici per la parte teorica di base. Tutti i fedeli devono sentire l’impegno dell’apostolato missionario, in particolare i Vescovi devono avere l’apertura mentale e concreta al bene di tutte le Chiese.

 

  

 

5^ INCONTRO

La missione dei laici nella Chiesa:    Apostolicam actuositatem, Gravissimum educationis, Inter mirifica

Vescovi, Sacerdoti, Seminari:    Christus Dominus,

Presbyrterorum ordinis, Optatam Totius:

 

La missione dei laici è una delle grandi novità del Concilio Vaticano II, che vuole che tutta la comunità della Chiesa cresca nella santità e nella missionarietà, ciascuno nella propria vocazione. 

Tre documenti del Concilio indicano invece la strada da seguire nel mondo moderno ai Vescovi, ai Presbiteri ed ai Seminaristi. 

 

Quali sono le indicazioni innovative di questi documenti?

§         I laici sono visti come soggetto attivo di apostolato, e non solo come oggetto di cura da parte dei sacerdoti, ed eventualmente come collaboratori materiali (per le pulizie, e poco più)

§         I laici hanno la possibilità di essere autonomi nelle loro scelte operative, anche se ci deve sempre essere la comunione ecclesiale con il Vescovo ed il parroco

§         I laici hanno una loro spiritualità, diversa da quella dei monaci e dei presbiteri, e, come quelle, è strada per la santità

§         I mezzi di comunicazione sociale sono un’opportunità, non uno strumento del Demonio. Compito della Chiesa è vigilare perché siano fautori di verità e di moralità

§         La chiesa è chiamata ad usare questi mezzi per l’evangelizzazione e la santificazione del popolo di Dio

§         I Vescovi sono autorità piena nella propria Diocesi, e tra loro sono parte di un Collegio Episcopale che li rende solleciti per tutte le Chiese

§         I Vescovi sono invitati a dare le dimissioni a 75 anni, per rendere più dinamica la pastorale nelle loro Diocesi

§         Al Papa si affiancherà un periodico Sinodo dei Vescovi, da lui convocato, che gli darà delle indicazioni su alcuni punti della pastorale

§         Il Presbitero ha una sua specifica spiritualità, che lo porta alla santità “attraverso” il suo ministero, e non “nonostante” il suo ministero

§         Devono avere una buona capacità di collaborazione, anzitutto col Vescovo, poi tra confratelli (il Presbiterio è il luogo naturale della crescita dei sacerdoti) e poi con i laici

§         I seminaristi devono avere una formazione anche pastorale, perché nei profondi cambiamenti di oggi questa muta velocemente, e non si può dare per scontata come decenni or sono.

 

Vediamo allora i documenti nelle loro parti:

 

Il documento che parla di questa missione si intitola: Apostolicam actuositatem.

Mette subito in chiaro che i laici hanno una vocazione alla santità ed alla missione (non delegata perciò solo al clero). Questo apostolato dei laici è nella loro stessa natura di cristiani battezzati, e non è una delega data per ovviare a carenze di clero. I laici devono perciò essere aiutati in un cammino di spiritualità tale da sentirsi coinvolti in questa missione ecclesiale.

Scopi di questo apostolato sono l’evangelizzazione e la santificazione del popolo di Dio, in particolare “animando l’ordine temporale delle cose”, cioè dando ai luoghi di vita (famiglia, lavoro, società politica…) lo stile cristiano che solo i laici possono offrire, perché solo loro vivono in quegli ambienti.  Così pure la testimonianza della carità è un’opera prevalentemente laicale.

Si parla poi degli ambiti di questo apostolato, iniziando dalle comunità ecclesiali, dai gruppi, movimenti, associazioni, nelle quali i laici possano liberamente formarsi e crescere sia personalmente che nella loro missione.  Un’attenzione particolare è poi data alla famiglia, come luogo di crescita, di formazione, ed anche di missione, in particolare verso le giovani generazioni. La società e la politica, sia nazionale che internazionale, sono infine viste come luoghi di missione nelle quali i laici devono donare tutti se stessi.

 

Riguardo ai vari modi di fare l’apostolato, si inizia parlando di quello individuale, che è spesso il più proficuo, perché entra nella vita delle persone (familiari, amici, conoscenti). Ci sono forme di apostolato organizzato, soprattutto nelle associazioni e nei movimenti. Un ruolo particolare si dà all’Azione Cattolica ed ai laici che offrono dei servizi particolari, a tempio pieno (i catechisti nei paesi di missione, i responsabili di case-famiglia a titolo gratuito…)

Nel fare apostolato si raccomanda il rapporto con la gerarchia, perché è sempre un’azione ecclesiale, dunque sotto la supervisione del Vescovo. I sacerdoti devono impegnarsi a dare supporto all’apostolato dei laici, e tutti devono cercare, soprattutto nella testimonianza caritativa, anche eventuale collaborazione con gli altri cristiani, ed addirittura con i non cristiani.

All’apostolato ci si deve formare, perché non è un’opera dilettantistica. Si inizia dalla propria formazione umana, caratteriale, professionale… si passa poi alla formazione spirituale, secondo l’indole propria della spiritualità dei laici. Si invita ad una formazione permanente,  I formatori all’apostolato devono essere le stesse comunità cristiane (parrocchie), ma anche le famiglie, la scuola, le associazioni. Si devono anche preparare dei sussidi per questo compito.

 

Vicino al documento sull’Apostolato dei laici c’è quello sull’educazione, dal titolo Gravissimum educationis.  Parte ricordando il diritto di ogni essere umano ad una adeguata educazione, e, per i cristiani, anche ad un’adeguata educazione alla fede. Nessuno può privare i genitori del diritto di essere i primi educatori alla vita ed alla fede. La scuola si deve affiancare alla famiglia (ciò vale sia per la scuola cattolica che per quella pubblica).  Un interesse particolare si dimostra per le scuole cattoliche, viste come mezzo per offrire una educazione completa, anche nell’aspetto di fede.

 

C’è pi un documento che tratta dei mezzi di comunicazione sociale, lo strumento più in evoluzione del momento. Si intitola “Inter mirifica”.  Poiché compito della Chiesa è portare a tutti il messaggio di Gesù, deve adattarsi ai tempi nei quali vive, perché solo così il messaggio viene diffuso ed accolto. È giusto perciò in questo momento storico interessarsi dei mezzi di comunicazione sociali, mezzi che formano la coscienza morale della società, che ne assicurano l’informazione, che è un diritto inalienabile ma che deve essere controllato perché non diventi un abuso dal punto di vista politico o morale. Oggi l’opinione pubblica è importantissima, e non può essere manipolata dai media. Gli utenti hanno perciò il dovere di vigilare sulla propria libertà, in particolare i genitori devono farlo riguardo ai figli, e l’autorità civile riguardo alla propria nazione.

In questo contesto si innesta l’azione pastorale della chiesa (sia dei pastori che dei fedeli). I cattolici devono prendere delle iniziative perché la ricerca della verità e la moralità dei mezzi di comunicazione sia sempre secondo la dignità degli utenti. Ci deve essere in questo senso perciò una formazione sia degli autori dei programmi che degli utenti usando tutti i mezzi e sussidi che sia possibile predisporre, sotto la vigilanza dei Vescovi e di specifiche commissioni da loro create per questo scopo, sia a livello diocesano, che nazionale, che internazionale.

 

Il documento che parla dei Vescovi si chiama Christus Dominus.

Fin dall’introduzione sottolinea l’importanza dell’unione dei Vescovi con il Papa. Porta poi subito le grandi novità del Concilio, che parla anzitutto del “Collegio dei Vescovi” per indicare che ogni Vescovo, pur essendo autorità unica e paterna nella propria Diocesi, ha senso ecclesiale solo se vive in reale unità con gli altri Vescovi ed il Papa. L’altra novità è la convocazione di Sinodi di Vescovi, per poter aiutare il Papa nella comprensione dei grandi temi che si affacciano nell’umanità.  Ciò comporta che ogni Vescovo deve avere in sé la sollecitudine per tutte le Chiese. L’unione con il Papa ogni Vescovo la mantiene anche mantenendo un rapporto con i Dicasteri Romani, per mezzo dei quali il Papa mantiene l’unità della Chiesa.

Nel secondo capitolo il Documento tratta dei singoli Vescovi nelle loro Diocesi, dove hanno il dovere fondante di evangelizzare, santifica e guidare il popolo di Dio, attraverso le varie attività che ritengono di proporre.  In questo capitolo di da anche l’indicazione della rinuncia dei Vescovi all’età di 75 anni, oppure in caso di malattia.   Ai Vescovi si affiancano dei collaboratori che servono per sottolineare la collegialità della Chiesa.  Sono eventuali Vescovi Ausiliari, i Consigli Diocesano (Presbiterale, pastorale e amministrativo) che servono al Vescovo per coinvolgere nel suo governo tutta la comunità. Tutto il clero, ed in particolare i parroci, sono chiamati a questa collaborazione stretta col Vescovo.  I religiosi godono di una indipendenza giuridica dai Vescovi, ma sono tenuti ad un rapporto filiale per quanto riguarda le scelte pastorali.

Il terzo capitolo tratta della collegialità dei Vescovi, che si manifesta nei Sinodi e nei Concili, ma soprattutto, in modo continuativo, nelle Conferenze Episcopali.

 

Dei presbiteri si tratta invece nel Documento dal titolo: Presbyrterorum ordinis. Anche questo documento presenta grandi novità, perché da una nuova visione della spiritualità presbiterale: da immagine sbiadita della spiritualità monacale, a vita di santità attraverso il ministero.  Infatti, dopo aver spiegato chi è il Presbitero nella Chiesa, cioè il primo collaboratore del Vescovo per santificare il popolo e per evangelizzarlo, passa ad una analisi dettagliata delle sue funzioni. Al primo posto mette l’impegno ad essere ministri della Parola, da conoscere con diligenza, testimoniare nella vita e spiegare con chiarezza. Parla poi della santificazione del popolo attraverso i Sacramenti, in particolare l’Eucaristia, che deve celebrare con devozione per il bene dell’assemblea. Con il suo ministero il presbitero diventa poi educatore del popolo e sua guida verso il Signore.

Il presbitero è chiamato a vivere una vita di continui e profondi rapporti umani.  Il primo è col Vescovo, di cui è collaboratore. Non ne prende il posto (il Vescovo è il vero responsabile delle parrocchie e di ogni altro ufficio nella Diocesi) perciò il suo ministero ha senso solo se è in comunione ed in sintonia col Vescovo. Vive poi in un presbiterio diocesano, e spesso anche parrocchiale. Il rapporto con gli altri presbiteri deve essere fraterno, di aiuto reciproco, di amicizia, anche di svago comune.  Il rapporto con i laici deve essere amichevole, riservato per evitare che diventi un attaccamento a piccoli gruppi a discapito della comunità, ma sempre attento ai bisogni di ciascuno. Si propone poi ai Vescovi un’attenzione a tutte le chiese, anche nella distribuzione del clero, aiutando le Diocesi più povere di presbiteri.  L’attenzione principale di ogni Vescovo deve essere alle vocazioni sacerdotali, per assicurare il futuro alle proprie diocesi.

Riguardo alla vita dei presbiteri, si sottolinea la loro chiamata alla perfezione, perché l’esercizio del ministero sacerdotale esige la santità, e solo come conseguenza la favorisce tra i fedeli. Particolari esigenze della vita dei presbiteri sono l’umiltà, l’obbedienza, una convinta adesione all’impegno del celibato, uno spirito di sobrietà e di distacco dai beni terreni.  Per vivere tutto questo devono avere una profonda vita spirituale ed un continuo approfondimento culturale. Infine si parla della loro vita materiale, chiedendo che ci sia anche una giusta retribuzione in modo che non abbiano anche il problema economico nella loro vita.

 

L’ultimo documento che vediamo è quello che riguarda i Seminari e la formazione dei futuri sacerdoti.  Si intitola: Optatam Totius. Propone un rinnovamento della preparazione dei futuri presbiteri, alla luce delle proposte emerse dal Concilio stesso.

Inizia a trattare dei seminarti minori, che accompagnano le vocazioni nascenti fino alle scuole secondarie. L’interesse più profondo è però rivolto ovviamente ai seminari maggiori (gli anni di università e di preparazione immediata). Si chiede anzitutto un impegno nuovo nella formazione alla vita pastorale, per dare subito lo stile nuovo che tutti i presbiteri devono avere. Un capitolo intenso è dedicato alla vita spirituale, che comprende, oltre alla vita liturgica e di preghiera, anche lo spirito ecclesiale di apertura alla collaborazione ed alla fraternità, l’attenzione alla castità ed al celibato, un’educazione chiara alla maturità umana, per poter intrattenere con le persone della propria comunità un dialogo sereno.

Per la parte culturale, si chiede di basarli bene su una cultura umanistica, orientando poi tutta la filosofia e la Teologia al mistero di Cristo. Gli studi non devono terminare con l’ordinazione, ma si deve organizzare in modo profondo anche una formazione permanente, perché cresca la preparazione e la vita comune dei presbiteri.

 

 

 

 

6^ INCONTRO

La Chiesa di oggi: prospettive dopo 50 anni

 

Dopo aver visto queste grandi novità pastorale (ed in parte anche teologiche) portate dal Concilio, vediamo ora quanto si è fatto, quanto ancora non è stato attuato, e cosa possiamo proporre per la nostra comunità.

 

Quanto si è fatto finora

§         A livello teologico, si è preso coscienza della Chiesa non come piramide, ma come popolo di Dio, con diverse vocazioni, tutte ugualmente strade per la santità

§         Si è compreso che ogni persona ha una sia dignità, e che perciò deve godere di libertà religiosa, anche se non è cristiana e dunque non ha la verità intera

§         Si accolgono i fratelli separati, cercando più ciò che unisce piuttosto che ciò che divide

§         Si comprende che chi vive secondo coscienza, anche senza seguire Gesù, può essere salvo, e che perciò possiamo anche dialogare con i non cristiani

§         Si accetta che i laici abbiano una vocazione particolare, una spiritualità loro propria ed una missione apostolica nella Chiesa e nel mondo

§         Si comprende che anche i presbiteri hanno una vocazione loro propria, che li porta alla santità attraverso il loro ministero

 

Quanto ancora non è stato attuato

Quello che si è compreso a livello teorico ed è ormai assodato nello studio, non sempre si è tradotto in pratica.

§         Anzitutto per una piccola frangia, ma combattiva, di tradizionalisti che vedono nel Concilio un male per la Chiesa, non accogliendo le novità che ha portato

§         Poi per la resistenza di persone che sui singoli punti non hanno la volontà di fare un cambiamento mentale (purtroppo anche dei giovani, che sono stati educati a visioni sorpassate, ma che le vivono come se fossero la salvezza della Chiesa)

§         Molti perciò non accettano una visione di Chiesa più comunitaria, e vorrebbero ancora un discorso piramidale, dove i laici dovrebbero solo sottostare ed imparare

§         Conseguenza è un ritardo nella presa di coscienza da parte del popolo di Dio di tutte le belle novità che dovrebbero portare nuova linfa alla Chiesa, sia nella liturgia (la difficoltà di superare le devozioni, le impostazioni individualistiche della spiritualità, l’assemblearità della preghiera e dei canti…) sia nella visione della Chiesa, con la difficoltà di assumere le proprie responsabilità, o da parte di qualche sacerdote di lasciare ai laici le loro; sia nel rapporto con i non cattolici o i non cristiani, con la tendenza ancora a giudicarli “dannati” e perciò a non rispettare la loro dignità nella libertà…

 

Cosa possiamo proporre per la nostra comunità

In questo contesto, con fiducia, guardando ai passi belli già fatti, e con impegno, guardando a quelli ancora da fare, ci chiediamo cosa possiamo fare nella nostra piccola comunità, per iniziare a rendere concreto il Concilio e dunque a riscoprire la vera fede che il Papa ci propone in questo anno.

§         Desidero partire dalla proposta di comunione nella comunità. Togliamo quanto ci rimane di “piramidismo”, per renderci conto che siamo un’unica comunità, con compiti diversi e spiritualità diverse, ma un’unica meta, cioè la vita santa col Signore su questa terra, e poi il Paradiso; e con un unico invito all’apostolato, da vivere all’interno della nostra vocazione quotidiana.

§         Sottolineo poi le differenze nella spiritualità.  Impariamo bene cosa significa spiritualità dei laici, e viviamola fino in fondo, nella nostra santità in famiglia, nel lavoro e nella società, portando Dio al mondo ed il mondo a Dio.

§         Riguardo alla liturgia, propongo un’attenzione particolare all’aspetto assembleare, anche come superamento delle tante devozioni che rendono ancora “bassa” la nostra spiritualità (non ancorata unicamente a Cristo ed la Vangelo)

§         Insisto poi sull’aspetto della libertà di tutti, con attenzione alla dignità di ciascuno. ciò ci deve portare a superare ogni forma di arroganza, di litigio, di pettegolezzo…

 

7^ INCONTRO

INTRODUZIONE ED INIZIO DELL’ APPROFONDIMENTO

DEL VANGELO DI GIOVANNI   (1,1-3)

 

Ci faremo guidare dalle proposte di P. Silvano Fausti, stampate nel libro: “Una comunità legge il Vangelo di Giovanni”, Ed. Ancora; e presenti anche sul Sito: “www.gesuiti-villapizzone.it”

 

1. Origine del pensiero Giovanneo

Lo sfondo del pensiero Giovanneo è costituito dall'Antico Testamento e dal giudaismo palestinese della fine del primo secolo, dunque con influssi esoterici, orientali, e soprattutto pre-gnostici. La gnosi è una corrente filosofica che considera la possibilità di comprendere tutto con la ragione, ed anche di spiegare la divinità come un concetto astratto.  Giovanni non è certo gnostico: per Lui Gesù è una persona ben precisa, Dio ed uomo, salvatore e maestro.  Il linguaggio è però mutuato da questa filosofia che si sta formando (per esempio la parola Logos = verbo, parola).

 

2. Il Vangelo secondo Giovanni

2.1. Autore e destinatari

Ireneo (nel 180 circa) dice: "Dopo gli altri, Giovanni il discepolo del Signore, pubblicò a sua volta un Vangelo, mentre dimorava in Efeso, in Asia". La tradizione più comune parla di questo discepo­lo come l'apostolo, figlio di Zebedeo e fratello di Giacomo. Oggi ci sono dei dubbi, attribuendo piuttosto questo Vangelo ad un discepolo, di nome Giovanni, ma Giudeo, di origine sacerdotale, che chiama se stesso “Il discepolo che Gesù amava”.

 

2.2. Cronologia

Questo Vangelo, secondo Ireneo, è stato scritto verso la fine del secolo (90-100).  Un papiro della prima metà del II secolo, dimostra che questo Vangelo era già diffuso in Egitto in quell'epoca.

 

2.3. Scopo

E' scritto per i cristiani, per dar loro una conoscenza ed una forza di fede più grande, e non ha scopo missionario (di convertire i lontani).

C'è una velata polemica antigiudaica (Gesù, non Mosè, ci dona la vera vita), ed antignostica (Dio è una persona, e non un concetto)

 

2.4. Caratteristiche

Questo Vangelo ha delle sue caratteristiche particolari, rispetto ai Sinottici:

2.4.1. Il materiale: a parte la passione morte e resurrezione, è quasi tutto autonomo. 

- I miracoli narrati da Giovanni sono 7, e d questi solo 2 sono in comune con i sinottici (moltiplicazione dei pani e cammino sulle acque).

- I discorsi che Giovanni riporta (moltissimi e lunghi) non sono presenti nei sinottici, e d'altra parte lui non ricorda quelli da loro scritti.

- Il luogo dove si svolge buona parte della missione di Gesù secondo i sinottici è la Galilea, mentre per Giovanni è Gerusalemme e dintorni.

- La cronologia del Vangelo di Giovanni parla di tre Pasque, mentre per i sinottici non c'è chiara cronologia, e non si capisce quanto sia durata la vita pubblica di Gesù.

2.4.2. Lo stile: - nei sinottici prevalgono delle brevi pericopi, mentre in Giovanni sono presenti dei lunghi discorsi o racconti.

- i discorsi non sono fatti d brevi sentenze, come nei sinottici, ma sono un corpo unico, con ragio­namenti filosofici e apologetici.

2.4.3. La teologia: ha dei concetti particolarmente sviluppati:

- la vita (eterna), che è già presente su questa terra con la presenza di Gesù tra noi ed in noi.

- destinazione universale della salvezza, non legata ad un solo popolo

- contrasto tra fede ed incredulità (e non tra osservanza rituale o meno, come nei sinottici)

- non è quasi presente la questione morale, e non ci sono indicazioni pratiche di vita (gli uomini non si dividono in buoni e cattivi, come nei sinottici, ma in credenti ed increduli)

- al centro di tutto c'è la persona di Gesù, e la rivelazione che fa di se stesso, come figlio di Dio, della stessa natura del Padre, dunque Dio Lui stesso.

- l'escatologia è vista al presente, come giudizio che si basa sulla propria fede.

2.5. Unità del testo

Ci sono almeno due punti che sembrano non dello stesso autore, ma inseriti per sbaglio nel testo:

- 8,1-11: Gesù e l'adultera. Lo stile è lucano, e, togliendo questo brano, il Vangelo di Giovanni scorre meglio.

- 21: questo capitolo è certamente di un discepolo di Giovanni, scritto posteriormente.   Questi brani sono comunque da considerarsi Parola di Dio ugualmente.

 

Iniziamo ad approfondire questo Vangelo, cercando di capirne i primi 3 versetti.

Giovanni è difficile da spiegare, perché ha pochi racconti, ma per il resto è già lui spiegazione. È come la vita: è semplice da capire immediatamente, ma più ci si pensa meno si capisce.

Giovanni presenta la protagonista del suo Vangelo: la Parola. Questo inno può essere precedente a Giovanni, ma lui lo ha riadattato alla teologia cristologica. Serve da prefazione all’intera opera, anticipando i temi di fondo di tutto il Vangelo. Ci fa vedere la vicenda storica di Gesù-uomo inserendolo da subito nella realtà divina, in unità col Padre, e facendoci comprendere il senso di questa vicenda. Ci invita all’adesione alla persona di Gesù, che è adesione alla Parola. In principio secondo Giovanni c’è ciò che ci sarà alla fine: non c’è perciò il caos, o il nulla (se no poi ci sarebbe solo caos o nulla), ma c’era la Parola. La Parola comunica soprattutto se stesso, poi dei concetti. Dio è Parola, perciò è comunità, nella quale si parla. La Parola è poi vista in funzione della creazione. È tutta in funzione dell’uomo, perché è l’unico che può capire questa Parola.

 

Sotto queste affermazioni semplici ci sono molte riflessioni teologiche possibili:

* In principio: ricorda l’inizio della Bibbia stessa, che parla della creazione

* La Parola era presso “il Dio”, la Parola era “Dio”: questa differenza di parlare di Dio Padre e di Dio Figlio, ci fa capire che sono diversi, ma nello stesso tempo sono Dio.  Dio Padre è Padre da sempre, perciò ha un Figlio da sempre.  Dio è amore da sempre, perciò non può amare solo l’uomo (che è iniziato nel tempo), ma deve amare qualcuno (che non può essere se stesso, se no sarebbe egoismo, da sempre.  Questa è la base della nostra riflessione sulla Trinità. Questo concetto è ribadito dal versetto 2 (era in principio presso Dio).

* La Parola (o logos) è un termine usato nella letteratura greca col significato di “ragione immanente nel mondo” ed in quella sapienziale così come nella Chiesa primitiva per indicare la rivelazione, la volontà di Dio. Acquisterà un senso nuovo nella letteratura gnostica, appena agli albori quando questo Vangelo è scritto, e significherà la stessa realtà di Dio, che comunica, e nella comunicazione stessa donerà la salvezza.  Questo concetto non è presente in Giovanni: Dio comunica, ma la salvezza è data dalla vita stessa di Gesù, e dalla nostra accettazione personale, non solo intellettuale, ma di vita.

* Il versetto 3 invece presenta Gesù come concreatore col Padre di tutto. Dio, avendo già un Figlio amato dall’eternità, non ha bisogno di creare per avere qualcuno da amare o da cui essere amato, ma lo fa solo per condividere anche al di fuori di sé la Sua realtà, che è appunto “amore”.  Il Figli perciò, essendo “concreatore”, collabora a questa diffusione dell’amore fin dall’inizio, e continuerà poi in tutto il cammino della Redenzione, come il Vangelo ci spiegherà in seguito.

 

  

 

8^ INCONTRO

APPROFONDIMENTO DEL VANGELO DI GIOVANNI (1,4-18)

 

Ci faremo guidare dalle proposte di P. Silvano Fausti, stampate nel libro: “Una comunità legge il Vangelo di Giovanni”, Ed. Ancora; e presenti anche sul Sito: “www.gesuiti-villapizzone.it”

 

Tratta della vita, della luce, della testimonianza, della Carne e Sangue di Gesù, della gloria, della verità e della grazia.  Tutti temi che saranno sviluppati dal Vangelo intero.

Il termine “vita” è presente 37 volte nel Vangelo di Giovanni, ed altre 40 nel “Corpus Joanneum”, cioè nelle Lettere ed Apocalisse. Normalmente non significa la vita biologica, ma Dio stesso presente in noi, realtà che non è da rapire con la violenza né da conquistare con meriti particolari, ma da accettare come dono. 

Dio stesso è la luce che illumina la nostra vita, attraverso la Sua Legge nell’Antico Testamento, ed attraverso la Persona del Figlio nel Nuovo. Spiega che questa luce vuole illuminare il mondo intero, che è nelle tenebre, ma le tenebre non la accolgono (oppure la “catturano, afferrano”, perché il termine ha questi due significati), perché la luce è più grande, e non può essere presa completamente dalle tenebre. 

Racconta allora la venuta fisica di Gesù nel mondo, e o fa servendosi della figura straordinaria di Giovanni il Battista.  Nessuno prima di Gesù, neppure Giovanni il Battista, era la luce “veritiera”, che illumina cioè per far conoscere la verità; ma solo Gesù. Gli altri sono solo “testimonianza” alla luce. 

Il controsenso del mondo, fatto da Dio Padre e Figlio insieme, che non Lo accoglie è un’immagine che Giovanni usa per farci comprendere la vicenda intera di Gesù. La Parola offre però dignità all’uomo, perciò ci offre la possibilità di diventare figli di Dio. Giovanni usa più volte questo termine, distinguendolo bene dal suo singolare (Figlio di Dio), riservato solo a Gesù. Il nostro essere figli “adottivi” come spiegherà Paolo, parte dalla figliolanza di Cristo, ma non la intacca: questa resta unica.

Questa Parola è eterna, è divina, ma vuole diventare carne per essere vicino a noi; il testo usa il termine “attendarsi”, per indicare una vicinanza attiva e dinamica, che segue l’uomo in tutte le sue vicende della vita. Essendo vicina all’uomo, noi possiamo contemplarla, e scoprirne la gloria, la grandezza infinita, essendo Lui il Figlio Unigenito del Padre. Questa grandezza infinita parte dall’incarnazione, ma si manifesterà in modo pieno nella Croce e nella Resurrezione. Da questo punto in poi Giovanni normalmente chiamerà Gesù “Figlio”, e non più logos, e Dio stesso “Padre”.

La Parola ci dona la pienezza, cioè tutto quanto sarà raccontato dal Vangelo nei prossimi capitoli. Una pienezza che non è presente neppure nella rivelazione precedente: Mosè può dare solo una legge, un’indicazione; Gesù dona la luce piena, perché ci porta la rivelazione completa di chi è Dio, della Sua intimità (la Trinità) del Suo rapporto paterno con l’uomo (non con un solo popolo). Ma ci dona anche la vita piena: la Sua rivelazione diventa per noi fonte di rapporto salvifico con il Padre e con tutta la Trinità.

 

Anche partendo da queste riflessioni possiamo vedere delle conseguenze teologiche e morali nella nostra vita:

§         Mondo: nelle opere di Giovanni ha sempre un’accezione negativa: significa il Regno di Satana, che Gesù viene a salvare. Non è visto come nemico, ma come oggetto di amore e di redenzione; resta il fatto però che al momento è pieno di peccato e di cattiveria, e rimane così se non incontra Gesù e si apre ad accogliere i Suoi doni

§         Verità: non in senso culturale, né in senso puramente gnostico, ma spiritualmente, riguarda le cose che senza rivelazione non possiamo comprendere (quelle che Paolo chiama “misteri”). Poiché Gesù ci tratta da amici, le condivide con noi, ce le rivela. In questo senso Lui è la verità. Comprenderemo poi che questa verità, pur essendo completa, non è sempre immediatamente accettabile, ha bisogno di un aiuto per essere accolta nel cuore dell’uomo e diventare vita: questo aiuto è lo Spirito Santo

§         Incarnazione: il punto centrale di questo e di tutti i Vangeli, è la manifestazione dell’amore infinito del Padre, che “ha tanto amato il mondo da mandare il Suo figlio Unigenito, perché chiunque crede in Lui non muoia ma abbia la vita eterna”. È il centro della nostra fede, perché

o        Dio diventa un Dio vicino, non ha più senso perciò la paura di un Dio che punisce

o        mi fa capire che non sono i miei meriti, ma la Sua scelta di amore a salvarmi

o        diventa comprensibile perché mi parla da uomo

o        diventa imitabile perché mi dona il Suo esempio umano

§         Rivelazione piena e rapporto con l’Antico Testamento: Dio si rivela in modo progressivo, pedagogico (dice la verità, ma non subito tutta la verità).  Inizia nel rivelare al popolo di Israele che è Uno (in contrapposizione al politeismo dei popoli che lo circondano); rivela poi che è liberatore (attraverso la liberazione dall’Egitto) e che dunque ama quel popolo; dona poi la legge, come indicazione di vita; offre altre indicazioni attraverso i Profeti… solo alla fine dona però tutta la Sua verità, diventando uomo, parlandoci personalmente, e condividendo con noi tutta la Sua intimità. Solo Gesù mi presenta la pienezza della conoscenza di Dio (Dio è Padre, e soprattutto Dio è comunità di amore nella Trinità).  In questo Senso Gesù è la “pienezza dei tempi”, la pienezza della Rivelazione.  Il rapporto con l’Antico Testamento è così un rapporto di riconoscimento della sua verità (è Parola di Dio e deve essere accolto come tale), ma non completa: ha bisogno del Nuovo Testamento per essere compreso fino in fondo

 

 

 

 

9^ INCONTRO

APPROFONDIMENTO DEL VANGELO DI GIOVANNI   (Cap. 1,19-51)

 

Ci faremo guidare dalle proposte di P. Silvano Fausti, stampate nel libro: “Una comunità legge il Vangelo di Giovanni”, Ed. Ancora; e presenti anche sul Sito: “www.gesuiti-villapizzone.it”

 

19-34:  Spiega chi è il testimone, e lo racconta con un’immagine del testimone più importante del nuovo Testamento: Giovanni il Battista, e con una del testimoniato: Gesù. E’ un dialogo tra Giovanni e avversari (autorità religiose) che lo interrogano. Si spiega l’identità di Giovanni, per capire l’identità di Gesù (chi è l’uomo, chi è Dio). Il testimone è colui che vive quello che dice: il testimone dell’amore di Dio (verità, giustizia, libertà) non può essere fanatico, ma è sereno ed equilibrato, se no non testimonia queste realtà. La falsa testimonianza uccide la verità (alla base del peccato originale c’è una falsa testimonianza di Satana). La prima testimonianza di Giovanni è sulla sua identità. Risponde al negativo, dicendo chi non è: non è il Messia (è un uomo in cammino, aperto al desiderio, non un uomo arrivato). Poi dice al positivo chi è lui: è solo una voce che grida per presentare la verità. Questa voce è particolare, perché aiuta a leggere la storia non dal punto di vista dei potenti, ma dei deboli, dei piccoli: il profeta infatti non si rassegna, combatte i potenti se sono ingiusti. Non si serve di Dio per giustificare l’ingiustizia, ma attraverso la verità di Dio la combatte. Per far capire questo cammino, lascia il segno del Battesimo, dell’ingresso nell’acqua (rinascita), della purificazione. Di questo segno si serve anche Gesù, proprio come mezzo per presentarsi per quello che è: si mette in fila con i peccatori, e fa capire che  non è il Dio che si presenta secondo i desideri dell’uomo, ma che si presenta in un modo totalmente nuovo. Il Vangelo di Giovanni non racconta il Battesimo di Gesù, ma il modo con cui lo capisce Giovanni. È come se il Battesimo di Gesù fosse avvenuto prima di questo dialogo. E Giovanni lo presenta così, come umile, solidale con tutti gli uomini, servo e non padrone: come Figlio di Dio.

35-51: è il racconto della testimonianza vissuta nel piccolo gruppo iniziale che segue Gesù. E’ un dialogo tra i primi amici di Gesù, che rappresentano i modi nei quali possiamo comprenderlo.  Ci sono delle parole chiave: dire/ascoltare (24 volte) vedere (12) seguire (9) incontrare (4), dimorare (3) cercare (1): indicano il dinamismo dell’uomo verso Dio.

Giovanni ci insegna i passi della testimonianza: prima incontra Gesù, poi riflette su se stesso, poi capisce chi è Gesù, poi lo comunica ai suoi amici. Gesù sta passando, sta camminando verso la Terra promessa (è di là del Giordano). Questa parola di Giovanni è frutto di un cammino di comprensione, per questo è parola di verità su Gesù. I discepoli ascoltano questa parola, e come conseguenza Lo seguono, non con l’invidia di chi vuole prendere i segreti dei potenti, ma con la gioia dell’amicizia e con il desiderio di imparare da Lui e riempirsi di Lui. Alla base c’è il desiderio di avere di più, avere libertà, verità… Gesù inizia con una domanda, che vuole rendere l’uomo aperto a capire i propri desideri e le proprie mete (questa stessa domanda la farà ai soldati che Lo arrestano, alla Maddalena dopo la Resurrezione). Anche l’uomo risponde con una domanda, ma una domanda che prevede il desiderio di capire chi sei e come incontrarti intimamente.  Gesù allora invita a vedere: vedere con l’occhio del cuore, che porta all’accoglienza ed all’amore. Il termine “venite” non è un comando, ma una supplica di Dio che vuole che stiamo con Lui. Gesù ci vuole far andare verso di Lui, per vivere con Lui. Questa è la prima esperienza degli amici, che stanno con Lui. Questa esperienza, che è piaciuta, viene comunicata. Andrea incontra il fratello (ogni uomo che incontra il Padre, subito dopo si apre al fratello). Gli racconta la propria esperienza, e lo porta da Gesù. Gesù lo guarda, e gli dà subito il suo vero nome (ciascuno di noi ha due nomi, due identità: quella che pensa di avere, quella che Dio gli dona). Pietro è roccia, nel doppio senso (testa di pietra / roccia su cui si fonda la fede).  Cercano poi Filippo, poi Natanaele, ed a tutti raccontano. Le risposte non sono sempre senza pregiudizi, ma solo quando si fa l’esperienza personale si capisce. Giovanni usa spesso l’immagine di Gesù che legge il cuore dell’uomo, per indicare la Sua divinità ed il Suo dono completo di libertà e di vera identità.

 

Qui possiamo approfondire il significato di evangelizzazione:

è la sintesi della missione della Chiesa. Deve essere capita bene, con equilibrio, perché su questo punto è facile cadere in eccessi, che rovinano i fratelli che così non sono aiutati a raggiungere Cristo. I due eccessi sono:

§         esaltazione: significa parlare sempre di Gesù, in ogni contesto, anche quelli nel quale non c’entra, diventando pesanti e soffocanti. Significa presentare la propria strada per raggiungere Cristo come l’unica possibile, facendo sorgere sensi di colpa in chi non la segue, perché ne privilegia un’altra (pensiamo a chi assolutizza un movimento ecclesiale, uno stile di preghiera, una forma di spiritualità…)

§         timidezza: nel senso di non sentirsi di presentare la propria fede, e dunque viverla in modo solo privato, ma non visibile, dunque non di testimonianza

 

Per vivere l’evangelizzazione abbiamo due strumenti:

§         testimoniare con la vita

nostro impegno è quello di testimoniare il Vangelo così com’è, con la vita vissuta alla luce della Parola di Gesù. se è vero che persone non leggono il Vangelo, è un nostro dovere fare in modo che lo vedano nella nostra vita. Ricordiamo che e testimonianze che più interessano sono quelle della gioia, della speranza e dell’accoglienza…

§         insegnare con le parole

Un collaboratore di Gesù non parla molto, ma sa parlare quando serve, per spiegare la propria testimonianza e per rispondere a chi gli chiede ragione della speranza che è in lui.  Per questo:

o        medita il Vangelo, possibilmente in modo quotidiano

o        si informa, studia, partecipa ad incontri, catechesi… che lo aiutino a conoscere meglio la fede

o        vive la direzione spirituale come mezzo sicuro nel cammino verso Cristo e verso la testimonianza cristiana

 

 

 

 10^ INCONTRO

APPROFONDIMENTO DEL VANGELO DI GIOVANNI (Cap.  2)

 

Ci faremo guidare dalle proposte di P. Silvano Fausti, stampate nel libro: “Una comunità legge il Vangelo di Giovanni”, Ed. Ancora; e presenti anche sul Sito: “www.gesuiti-villapizzone.it”

 

1-12: il primo dei segni, tutti gli altri dunque sono da leggere alla luce di questo. Dio si presenta: sembra che inizi con un segno inutile, scandaloso (dare 600 litri di vino alla festa), invece è proprio la sua realtà non il Dio che deve essere tenuto buono, ma il Dio che dona la gioia in modo esorbitante. Inizia con l’immagine delle nozze, segno dell’intimità di Dio con l’uomo. Dio vuole la festa, la gioia (non è d’accordo col figlio maggiore che osserva tutte le leggi, ma non vuole la festa per il fratello).  Dio ha sempre voluto le nozze con l’uomo, iniziando dal Popolo che ha scelto; ma le nozze non sono mai avvenute perché la sposa si è sempre tradito prima di consumarle (fin dal Vitello d’Oro). Ora è giunto il momento della consumazione. Manca il vino, non ciò che è necessario per vivere (il pane), ma ciò che è in più, che dà gioia e senso alla vita (manca appunto finora la consumazione delle nozze). Maria se ne accorge: la funzione di Maria nel Vangelo è rappresentare l’umanità intera (qui ed ai piedi della croce). La risposta di Gesù è una frase della diplomazia dell’epoca che significa l’alleanza tra due capi, che si ricordano gli impegni reciproci. L’ora di Gesù è venuta (si può tradurre con il punto interrogativo: “non è giunta la mia ora?”), e perciò la festa è pronta. Maria è chiamata “donna”, cioè “sposa”. È in lei che avviene il salto di qualità del rapporto tra Dio e l’uomo. E Maria vive questa alleanza, questo salto di qualità, per il bene dell’umanità, dando l’indicazione fondamentale: “Tutto quello che vi dirà, fatelo”. Le giare sono 6, numero dell’uomo, che vive nella tristezza, nel non senso (vuote di acqua) che Dio vuole cambiare in gioia (riempire di vino). E l’invito è di attingere adesso: questa gioia è sempre disponibile, per tutti ed in ogni generazione. Giovanni non racconta come avviene il miracolo, se non dicendoci che la condizione è il “fare ciò che Lui mi dice”. Il miracolo di Gesù è fatto con pienezza, tanto che quello che Lui fa è “il vino migliore”: all’uomo vuole regalare una vita piena e gioiosa all’ennesima potenza. In questa scena i discepoli ci sono, ma sono solo spettatori; non agiscono ancora, perché il primo passo è vedere e capire. Questo primo “segno” ci insegna che Lui stesso è il vino, la gioia, il senso della vita, abbiamo capito dove abita, come Gli chiedono Andrea e l’altro discepolo: abita nella gioia.

13-22  Il Vangelo di Giovanni mette all’inizio la realtà della purificazione che gli altri evangelisti mettono alla fine, perché la vuole presentare come un segno che darà senso a tutto il Vangelo. Non è un fatto che non ci riguarda, ma è come se venisse qui, con la frusta, per purificare la nostra vita. Per Giovanni è la conseguenza delle nozze di Cana: nel Tempio ci sono le leggi ed i sacerdoti, che con il Re, governano, e mantengono le istituzioni, però contro il popolo. In Israele ci sono i Profeti che combattono le istituzioni. Gesù si mette su questa linea, per aiutarci a vivere la gioia di Dio. La scena avviene nella Pasqua, che era un grosso affare, tra agnelli, monete cambiate… ed il tutto avveniva nel Tempio, che dovrebbe essere invece il luogo dove si unisce il modo con Dio, che deve essere il centro della vita della città. Se questo centro diventa mercato, significa che quella città vive per il mercato, non per Dio. Gesù vuole purificare fin dall’inizio l’immagine di Dio e dell’uomo. Il mercato è possesso, ma Dio vuole la solidarietà. Lo fa come gesto profetico, non come violenza: la frusta indica il castigo che la vita porta all’uomo che non ha una giusta visione di sé e di Dio. Dio è amore, e non può essere mercanteggiato (sarebbe trattare Dio da prostituta, da comprare). I capi non vogliono che Gesù mini la loro autorità, ed allora Gli chiedono con quale autorità Lui agisce così. Gesù fa capire che loro stanno distruggendo il Tempio, il vero senso del Tempio, mentre Lui lo ricostruirà in modo pieno, nuovo. Non parla del Tempio materiale, ma di ciò che vale, del Corpo del Dio che è diventato uomo. Anche questo gesto così è sintesi della missione di Gesù, come lo è stato il brano sui Cana: lì si diceva che Dio è gioia, qui si dice che Dio ci aiuta a vivere in modo buono, uniti a Lui ed ai fratelli

 

Conseguenze teologiche di questo capitolo sono:

§         La simbologia nelle “Nozze di Cana”: questo brano ha una forte simbologia. Vediamone alcuni aspetti:

o        le giare sono di pietra, come le “Tavole della Legge”. Sono pesanti come le prescrizioni delle leggi;

o        sono espressione di una religiosità esteriore e vuota (le giare infatti sono vuote, pur potendo portare molta acqua).

o        La mancanza di vino indica la mancanza di vivacità nella legge antica, mentre quella nuova lo dà migliore e sovrabbondante. Queste nozze sono una finzione di festa, perché il vino è poco e cattivo, gli sposi sono innominati, i responsabili del banchetto sono incapaci nella sua preparazione e gestione…

o        Il contesto è liturgico. I servi sono chiamati “diakonoi” e non “douloi” come sarebbe giusto in greco. Sanno obbedire all’ordine di riempire le giare, ma lo fanno in modo attento: le riempiono fino all’orlo, oltre quello che è stato loro chiesto: lo fanno on amore, non per forza.

o        Insegna alla chiesa che se rimane fissa nel passato, se non costruisce otri nuovi per mettere il vino nuovo, continua a fare feste finte ed inutili, e a non trasmettere la novità gioiosa di Gesù.

§         la vera immagine di Dio: nel Vangelo di Giovanni questa appare fin dall’inizio, come se Gesù volesse anzitutto aggiustare questa immagine, per poi costruire su questa tutta la Sua novità di fede (, paternità di Dio, Trinità…) e morale (comandamenti nuovo). Il modo umano di vedere Dio, il Dio creato dall’uomo, è li padrone, il potente, il legislatore, il punitore. L’immagine che Gesù insegna è la gioia dell’incontro, la paternità che accoglie, la misericordia che salva…

§         il Tempio: in ogni cultura il Tempio è il luogo dove Dio entra in contato con l’uomo ed è il centro reale della città e della Nazione. Ogni uomo e ogni cultura ha bisogno di un centro aggregatore (la piazza, il foro, il mercato, il palo sacro…). Il Tempio è il sacro opposto al profano (appunto, ciò che è fuori del Tempio). Salire a Gerusalemme per le feste, significava per gli Ebrei realmente “andare a trovare Dio”. Nel Tempio però nasce il potere, che schiaccia le persone e le sfrutta. Per questo i Profeti attaccano il Tempio ed il sacerdozio, e per questo Gesù fa altrettanto: non è il Tempio in sé, né il sacerdozio, ma il modo di viverlo che Gesù vuole purificare: al centro non il proprio potere, né lo sfruttamento, ma Dio stesso nella Sua paternità, misericordia, amore.

 

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Ultimo aggiornamento: 20-02-14